Le cure antitumorali non funzionano più

Questo è uno dei momenti decisionali più difficili e tristi per il medico, il paziente ed i familiari. È il momento in cui tutto il “male” connesso al cancro si concretizza nella maniera più chiara e diretta: se non si può più combattere il tumore perché più linee di terapia hanno fallito e la malattia è cresciuta a dimensioni critiche (10 cm ed oltre), la speranza di continuare a vivere è ridotta al minimo. Bisogna stare molto attenti perché forzare la situazione, ostinarsi a provare ulteriori trattamenti antitumorali quando questi non sono più indicati, fa solo male al paziente e ne accelera la fine.

È compito del medico capire quando provare ulteriori terapie antitumorali  rappresenta un accanimento terapeutico, e quando non fare “ancora un tentativo” sarebbe un rinunciare a cure ancora potenzialmente utili. Spetta al paziente ed ai suoi cari condividere ed affidarsi a queste decisioni.

Ci sono condizioni in cui il bilancio tra l’efficacia e gli effetti collaterali è certamente ed inequivocabilmente negativo.Questa situazione può verificarsi:

  1. dopo pochi mesi di trattamento in cui più linee di terapia sono state rapidamente bruciate;
  2. alla fine di percorsi lunghi e relativamente sereni segnati da ottime risposte alla terapia; lunghissimi periodi di vita normale con ottima qualità; limitati momenti di sconforto e sofferenza per effetti delle cure o sintomi legati alla progressione del tumore. FIGURA 17

    Fig 17. Le possibili evoluzioni del tumore dal momento della comparsa delle metastasi. Purtroppo anche se la cura inizialmente funziona arriva un momento in cui il tumore ricresce Nel caso illustrato, l’iniziale rimozione del tumore primitivo (il cerchietto bianco) non ha avuto successo per la presenza di metastasi non visibili al momento dell’intervento. Queste, crescendo, col tempo sono diventate visibili (il cerchietto bianco della recidiva). La terapia medica iniziata, detta di prima linea, (chemio, ormono, immunoterapia o terapie biologiche) può essere più o meno efficace. Se funziona bene, il tumore risponde riducendosi. Se no, può rimanere fermo, stabilizzandosi o continuando a crescere nonostante la cura. La diversa efficacia delle cure determina il decorso più o meno buono della malattia.

 

Altre volte questa situazione di bilancio decisamente negativo può anche trovarsi all’inizio della storia tumorale; quando la malattia si presenta dal primo momento talmente aggressiva, disseminata e massiva (grandi dimensioni) che fare terapie sarebbe solo pericolosissimo senza la speranza concreta di miglioramento. (COME È POSSIBILE? STAVA BENE ED ORA DICONO CHE NON C’È PIÙ NULLA DA FARE)

In queste condizioni di bilancio negativo tra efficacia ed effetti collaterali, la scelta di fare altra terapia antitumorale è decisamente sbagliata. Purtroppo questa situazione porta spesso i sanitari a dire che “non c’è più nulla da fare”. Da una parte questo è giusto, intendendo “nulla da fare sotto il profilo della lotta contro il tumore”. Ma dovrebbe essere sempre chiarito che se non è indicata altra terapia antitumorale, c’è sempre e comunque ampio spazio di aiuto al malato  con le terapie di supporto, anche fino agli ultimi istanti della vita.

In questi difficilissimi momenti decisionali, spesso si pone la domanda su quanto tempo può essere ancora rimasto. Capire quanta vita è ancora rimasta è estremamente difficile. (SI PUÒ PREVEDERE QUANTO TEMPO È “RIMASTO”?) Solo quando l’attesa di vita è di pochi giorni o 1-2 settimane la previsione medica ha una certa attendibilità. Ma stimare in 3-4 mesi la durata della vita rimasta è estremamente difficile e può succedere che questo periodo possa a sorpresa raddoppiare, triplicare ecc. Finché il paziente è ambulatoriale e non è forzato a trascorrere tutto il giorno a letto, con grave compromissione degli organi vitali, non si può parlare di fase terminale.

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