Si provano altre terapie dette di seconda, terza linea ed oltre

L’esistenza di molti farmaci attivi contro i tipi di tumore fa sì che in teoria, se un farmaco fallisce in prima linea, se ne prova un altro in seconda linea, poi uno in terza e così via. (FIGURA 23) Questo è vero solo parzialmente.

Fig 23. Le possibili evoluzioni della ricaduta del tumore in fase avanzata in risposta alle diverse linee terapeutiche Anche le linee di terapia successive alla prima (seconda, terza, quarta ecc) rallentano la crescita del tumore o ne riducono le dimensioni; le linee di terapia successive alla prima hanno efficacia progressivamente inferiore, sempre per lo sviluppo di resistenza ai farmaci.

Il fatto di avere più farmaci a disposizione non significa che bisogna usarli sempre tutti. Purtroppo i farmaci hanno effetti collaterali abbastanza pesanti e perdono sempre più la loro efficacia nel tempo.

Quindi occorre sempre aggiornare il bilancio costi-benefici rispondendo alla domanda “ne vale veramente la pena?”.

Si possono benissimo sopportare gli effetti collaterali di una terapia, se questa offre la possibilità di guarigione oppure regala anni di vita con qualità buona. Purtroppo non sempre questi obiettivi possono essere raggiunti dopo che la prima linea di terapia ha fallito.

Le probabilità di risposta del tumore ad ogni linea di terapia successiva si riducono drasticamente. Possono essere del 50% per la prima linea, del 25% per la seconda, ma in generale non più del 10-15% in terza linea ed oltre.

Inoltre, non sempre ottenere una risposta alle cure si traduce in un beneficio tangibile per il paziente, al netto degli effetti collaterali. Gli studi clinici fatti in terza e quarta linea mostrano che in genere l’attesa di vita può essere in media di 6-18 mesi; e il guadagno medio che possono offrire le terapie in queste condizioni difficili non va oltre i 2-4 mesi, non sempre con qualità di vita soddisfacente.

È per questo che il bilancio tra tossicità ed efficacia è in genere positivo per la prima linea, spesso lo è per la seconda, ma può rimanere incerto per la terza ed oltre.

Naturalmente tutto questo dipende dal tipo di tumore e dal tipo di cura: ci sono condizioni in cui il tumore continua a rispondere anche dopo 7 o 8 linee di terapia diverse per cui le percentuali elencate sopra per la seconda, terza e quarta linea sono molto migliori.

Col progredire della malattia si entra in un’area grigia dove, da una parte c’è il rischio dell’accanimento terapeutico (tossicità senza beneficio), dall’altra c’è il baratro dell’ “abbandono terapeutico” (“non ci provo neanche”); anche se in teoria la remota possibilità di beneficio c’è con un ulteriore tentativo terapeutico. In questi casi la situazione sia in casa sia in ospedale con i medici diventa molto tesa: l’ansia di decidere, il voler fare a tutti i costi qualcosa, o al contrario, insistere perché il paziente non venga più “torturato” con cure inutili sono tutte posizioni comprensibili. La bussola che deve guidare le decisioni in queste condizioni è il bene del paziente nel suo complesso.

Non ci sono risposte facili. In alcuni casi è decisamente meglio rischiare l’accanimento terapeutico; in altre, d’accordo con il paziente, il medico decide che è più opportuno limitarsi alle terapie di supporto.

Quando si prende la decisione di affidarsi alle terapie di supporto è importante sottolineare al paziente che la decisione è temporanea e che se le cose cambiano in meglio, l’intero bilancio relativamente ad un nuovo tentativo con cure antitumorali può tornare ad essere favorevole e quindi si può tentare una nuova linea di terapia.

Questo dà comunque un programma al malato che non può essere lasciato al buio senza spiegazioni e senza condivisione delle decisioni per l’immediato e prossimo futuro.

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