Perché a volte il paziente non è adeguatamente informato

In alcuni casi il malato è tenuto all’oscuro della prognosi per paura che la verità lo sconvolga. Questi sono alcuni esempi delle spiegazioni che più frequentemente vengono fornite dai familiari perché il medico dica meno possibile al malato:

  • “La conosco mia mamma… non potrebbe certo sopportare la notizia…”
  • “Almeno… che viva sereno quanto gli resta da vivere!…”
  • “Mio papà ha sempre detto che se gli fosse venuto “uno di quei mali” non ci avrebbe pensato su due minuti e l’avrebbe fatta finita”.
  • “Lei non chiede niente, quindi non vuole sapere niente…..”

La paura è più che giustificata nei casi a prognosi peggiore. Ma la paura della verità quasi sempre non riguarda solo la reazione del malato. Spesso sono i familiari sani a temere moltissimo la nuova situazione che si creerebbe in famiglia. Si ha paura del cambio dei ruoli che la piena coscienza della gravità della malattia potrebbe causare in famiglia; paura di non farcela a sostenere adeguatamente il nostro caro. Anche questa reazione è giustificabile, umana. Ma riguarda i parenti, non lui malato o lei malata. E chi deve essere aiutato prima di tutti è il malato anche attraverso un’informazione adeguata.

La situazione che si genera quando il malato non è informato può anche andare bene per un certo periodo se si verificano entrambe le condizioni che seguono:

  1. è il malato stesso che che delega il familiare ad occuparsi della sua salute in quanto impaurito o “poco interessato”.
  2. il malato sta fisicamente e psicologicamente bene.

Tuttavia, è davvero molto raro che si verifichino entrambe queste condizioni, oppure, se presenti inizialmente, possono modificarsi nel tempo, così che la situazione cambia e può anche precipitare, se tempestivamente non si forniscono le informazioni richieste (“mi avete preso tutti in giro…”).
In questo caso è francamente sbagliato continuare a mantenere la “gestione” del caso, cioè andare a parlare con i medici senza il paziente e prendere decisioni senza il consenso dell’interessato.

D’altra parte è frequente che, di fronte a notizie molto brutte, anche il paziente interessato a conoscere la propria condizione, si costruisca una propria versione interiore di quanto gli viene spiegato, sopprimendo tutte quelle parti dell’informazione “inaccettabili” in quanto troppo negative ed emotive. È un fenomeno estremamente naturale e frequente che gli psicologi spiegano con l’intervento del nostro “sé narrante”, cioè una funzione della nostra mente che tende a dare un senso personale a tutto ciò che ci accade in maniera da farcelo accettare comunque.

Anche nel mondo anglosassone, dove in generale l’informazione è diretta e completa, il problema esiste. Un recente studio su 1200 pazienti apparso sul miglior giornale di medicina americano, l’autorevole New England Journal of Medicine, riporta che dal 70% all’80% dei pazienti con carcinomi in stadio molto avanzato senza possibilità di guarigione che partecipavano a studi sperimentali su nuovi farmaci, alla domanda sul perché partecipavano a quella sperimentazione rispondevano che lo facevano per guarire. E tutti i pazienti erano stati informati molto esplicitamente sia verbalmente sia per scritto della loro condizione assolutamente non più guaribile (Weeks J. Patients’ expectations about effect of chemotherapy for advanced cancer. New Engl. J. Med 17: 1616-1625, 2012).

Mappa del sito

Per garantirti un esperienza migliore del nostro sito web utilizziamo i cookie. Per maggiori dettagli o per gestire il consenso clicca qui.